PROTOSTELLA HOPS 383 E L’EVOLUZIONE DI QUESTI OGGETTI CELESTI

La protostella HOPS 383 è una futura stella, un agglomerato di gas denso che presto accenderà le prime reazioni nucleari al suo interno e quindi inizierà a brillare.

La protostella HOPS 383 si trova nella costellazione di Orione, nella nebulosa NGC 1977, una nube molecolare posta a un grado nord rispetto alla più famosa M42 nella Spada dell’Orione. HOPS 383 si trova a 1400 anni luce da noi.

Immagine di NGC 1977 dove è collocata HOPS 383 - Credits: astrosurf.com
Immagine di NGC 1977 dove è collocata HOPS 383 – Credits: astrosurf.com

HOPS 383, come accennato prima, non è ancora una stella a tutti gli effetti. Il brillamento a cui i ricercatori hanno assistito è stata una potente brillamento dovuto ai momenti turbolenti della fase di formazione. Nella scala evolutiva delle protostelle, HOPS 383 appartiene alla classe 0; in questa fascia la protostella vi resta per circa 150 mila anni; la classe 0 è considerato il primo breve stadio di sviluppo per stelle come il Sole. Quello che costantemente irradiano questi oggetti è energia termica che si sviluppa dalla loro contrazione e accumulo della materia che compone il disco di accrescimento. HOPS 383 si trova ancora avvolta da questa materia in caduta libera verso il suo centro, se quindi non avesse avuto questo sussulto di energia, sarebbe stato molto complicato poterla “stanare”.

L'immagine evidenza nettamente il bagliore di HOPS383 nel riquadro in basso a destra. - Credits NASA-JPL Caltech-Univ. of Toledo- sfondo, E Safron et al
L’immagine evidenza nettamente il bagliore di HOPS383 nel riquadro in basso a destra. – Credits NASA-JPL Caltech-Univ. of Toledo- sfondo, E Safron et al

In effetti la sua osservazione è frutto di un lavoro attento di una giovane ricercatrice, Emily Safron, che ne ha osservato la presenza in immagini in archivio. “Questa magnifica eruzione è sempre stata nascosta nel nostro campione di dati” ricorda Safron. Infatti i primi dati che confermano un aumento della luminosità, risalgono al 2006 e furono presi dal Telescopio Spitzer; successivamente, nel  2008, HOPS 383 ha incrementato la sua brillantezza infrarossa alla lunghezza d’onda di 24 micron di ben 35 volte. Le osservazioni avvenute negli anni successivi, hanno evidenziato che dal 2012 a oggi, questa luminosità non accenna a diminuire.

HOPS 383 ripreso nel vicino e medio infrarosso prima e dopo l'aumento di luminosità - Cresits: NEWFIRM, WISE, and Spitzer
HOPS 383 ripreso nel vicino e medio infrarosso prima e dopo l’aumento di luminosità – Cresits: NEWFIRM, WISE, and Spitzer

Uno dei problemi evidenziati dalle osservazioni è che spesso questi oggetti sono meno luminosi di quanto ci si aspetterebbe, quindi accrescono meno massa di quanto si può ragionevolmente predire“. commenta Fabrizio Massi, astronomo INAF presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri. “Questo ha portato ad un paradigma in cui l’accrescimento di massa non sarebbe costante nel tempo, ma avverrebbe in episodi brevi e intensi. E’ facile capire, da quanto detto sopra, che ogni aumento di massa accresciuta per unità di tempo aumenta l’energia cinetica dissipata e quindi la luminosità dell’oggetto stesso. Diviene quindi importante studiare la variabilità fotometrica (alle lunghezze d’onda in cui questi oggetti possono essere osservati) delle protostelle. Episodi significativi di aumento della luminosità in oggetti stellari giovani sono noti da tempo. Ad esempio, personalmente ho effettuato osservazioni interferometriche (col VLTI) della stella B di Herbig (cioè stelle più massicce del Sole non ancora entrate nella fase di sequenza principale) Z CMa, che nel 2008 mostrò un aumento di brillanza di ben 2 magnitudini nel visibile. Le stelle di tipo FU Ori, stelle di pre-sequenza di piccola massa, sono ben note per mostrare aumenti di luminosità.”

(Fonte: media.inaf.it ). A questo link potete trovare il pdf della ricerca della Safron e colleghi.

 Varie ed eventuali.

1. E’ stata calcolata con precisione la differenza di massa fra il protone e il neutrone.

Szabolcs Borsanyi e colleghi, dell’Università di Wuppertal in Germania, sono riusciti a calcolare con precisione la differenza fra la massa del protone e la massa del neurone che compongono il nucleo di un atomo. Il dato è estremamente preciso e ha un valore di solo 0,14%. Il calcolo è stato reso possibile grazie alla teoria della fisica subnucleare che descrive la struttura interna di queste due particelle.

Struttura di un atomo
Struttura di un atomo

Il protone è formato da tre quark di diverso tipo, o “sapore”: due quark “up” e un quark “down”, legati dall’interazione di tipo forte, una delle quattro forze fondamentali della natura. Il neutrone è invece costituito da due quark “down” e un quark “up”, tenuti insieme dallo stesso tipo d’interazione.

Sulla base di questa struttura interna si possono spiegare le caratteristiche fisiche di protoni e neutroni: la combinazione delle cariche dei singoli quark, per esempio, determina in modo semplice perché il protone ha carica positiva e perché il neutrone è elettricamente neutro.

Nel caso delle masse, occorrono invece calcoli molto raffinati basati sulle leggi della cromodinamica quantistica, che spiega il comportamento dei quark, e dell’elettrodinamica quantistica, che spiega il comportamento delle particelle cariche.

Gli autori della ricerca hanno usato queste leggi per determinare questa differenza di massa, che riveste un’importanza fondamentale nella fisica. Se il valore fosse stato differente, l’evoluzione del Cosmo sarebbe stata differente.

I calcoli di fisica nucleare indicano per esempio che se la differenza tra la massa del protone e quella del neutrone fosse stata lievemente maggiore dello 0,05%, la sintesi dei nuclei dopo il Big Bang avrebbe prodotto molto più elio-4 e molto meno idrogeno. Le conseguenze sarebbero state di enorme portata: le stelle non si sarebbero “accese” così come hanno fatto.

M 31 e M32 ovvero la galassia di Andromeda e la sua galassia satellite - Copyright degli aventi diritto
La galassia di Andromeda e la sua galassia satellite – Copyright degli aventi diritto

Un valore molto più grande di 0,14% avrebbe reso i decadimenti di tipo beta molto più probabili, rendendo l’Universo molto ricco di neutroni alla fine della nucleosintesi. Il decadimento di tipo beta è un fenomeno naturale che avviene quando un protone nel nucleo atomico si trasforma in un neutrone; il nucleo dell’atomo produce un anti-elettrone e un neutrino elettronico. Nello specifico questo è il decadimento di tipo beta meno.

In caso, a risentirne sarebbero state le reazioni di fusione nucleare all’interno delle stelle, che avrebbero bruciato l’idrogeno con molta più difficoltà, rendendo ardua la formazione degli elementi più pesanti.

(Fonte: lescienze.it )

2. Ecco i video relativi alla partenza e all’arrivo della Expedition 43.

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