LA SINFONIA DEL COSMO: THE SOUND OF SILENCE

Siamo giustamente propensi a pensare che nell’immensità del Cosmo il suono non abbia ragione d’essere ed effettivamente, così come lo udiamo propagarsi sulla Terra, il suono negli spazi siderali non può esistere.

Prima di proseguire però, vorrei dare alcune coordinate relative al suono. Sappiamo che sulla Terra le onde sonore si spostano alla velocità di 330 m (un terzo di km) al secondo. La velocità di queste onde è quindi ben definita e si tratta di microoscillazioni dovute alla pressione dell’aria. Ciò che rende possibile percepire queste lievi oscillazioni è il nostro orecchio. Esso è composto da microscopiche strutture dette cellule ciliate poste nell’endotelio del nostro orecchio. Attraverso la loro vibrazione, viene prodotto un impulso elettrico tramite passaggio di ioni. L’apparato è così sensibile alle variazioni della pressione dell’aria, che si è in grado di percepire questo cambio di pressione anche quando questo varia di appena una parte su 10 miliardi.

Cellule ciliate dell'orecchio osservate al microscopio
Cellule ciliate dell’orecchio osservate al microscopio

Nel “vuoto” cosmico, dove la nostra atmosfera non è presente per trasportare il suono, lo spazio risulta silenzioso. Il nostro apparato uditivo è fatto per l’ambiente in cui viviamo. Ciò che avviene fuori dal nostro pianeta può risultare di difficile interpretazione o addirittura inesistente (ma non sempre è così).

Spesso assistiamo a film o telefilm di fantascienza, in cui esplosioni nello spazio sono accompagnate da un boato, che in realtà non dovrebbe esserci secondo il metro di valutazione terrestre. Ma come scritto prima, il suono per propagarsi necessita di variazione di pressione; per quanto lo spazio sembri vuoto (sempre considerando il punto di vista terrestre), in realtà così non è! Anche osservando un punto che ci sembra particolarmente isolato e privo atomi nella nostra Via Lattea, vi potremmo comunque trovare il corrispettivo di 1 milione di atomi per metro cubo. Questo significa certamente meno dei 10 milioni di trilioni di volte la quantità di atomi che possiamo trovare al livello del mare, ma resta il fatto che non è completamente vuoto. Va ricordato che vi sono luoghi ancora più “vuoti”, come gli spazi intergalattici, dove la concentrazione di atomi arriva a una densità così bassa da risultare di appena 0,00001 atomi per centimetro cubo; se prendessimo una nube con questa densità, ma grande quanto la Terra, essa peserebbe solo un sessantesimo di gramo e i singoli atomi sarebbero separati fra loro dalla ragguardevole distanza di circa un metro. Ciò nonostante, non è vuoto! E’ solo molto, molto rarefatto.

Questa rarefazione indica che le eventuali pressioni che si vengono a creare in queste zone produrrebbero un suono, inudibile per noi ed estremamente basso; il Cosmo è quindi un luogo in cui “trovare” suoni certamente a noi poco famigliari e sintonizzati su frequenze molto diverse della nostra capacità uditiva, ma ciò non di meno, questi suoni ci sono. Il non udire determinate frequenze per noi è normale anche sulla Terra, basti pensare agli ultrasuoni che sono impercettibili per noi, ma non per alcuni animali (come i cani). La gamma di frequenze su cui è tarato il nostro orecchio, vanno dai 20 Hz ai 20 kHz (Hz = numero di oscillazioni al secondo). Al di fuori di questo gap, l’ambiente ci risulta silenzioso (ma non significa che lo sia realmente). Tutto quindi dipende dalle prestazioni del nostro orecchio; prestazioni che sono state “tarate” dalla natura in base alle nostre esigenze.

L’intensità del suono si misura in decibel (dB). Il livello 0 dB corrisponde a una variazione di pressione dello 0,00000002% rispetto alla pressione normale dell’aria. Ogni aumento di un fattore 10 della pressione, rispetto a questo livello base, determina un incremento di 20 dB.

Sulla Terra possiamo trovarci a udire suoni forti, come un’aspirapolvere posto a 1 m da noi o una radio ad alto volume (entrambi a circa 70 dB) e pur considerandoli magari fastidiosi, non è necessario evitarli e non risultano dannosi nell’immediato. Altri rumori più forti possono invece dare fastidio, come il decollo di un aereo a soli 50 m da noi o il suono di una sirena (entrambi i rumori sono a circa 125 dB). Altri suoni possono essere non solo dolorosi, ma fortemente dannosi se sottoposti a un ascolto prolungato, come un’auto da Formula 1 che romba a pochi metri da noi (140 dB). Questo perchè tra i 120 dB e i 130 dB vi è la soglia del dolore.

Quando gli Space Shuttle decollavano il rumore prodotto dai motori in rampa era di 195 dB. Devastanti per gli organi molli del corpo che subivano danni importanti; non a caso il pubblico invitato a vedere i lanci, aveva accesso alla causeway di Capo Kennedy, che si trova a 10 km di distanza dalla rampa, ma dal quale il rombo dei motori risultava ugualmente assordante tanto quanto il suono di un concerto rock (indicativamente i concerti hanno una media di 110 dB)! Secondo alcuni calcoli, si è stimato che le bombe di Hiroshima e Nagaski potrebbero essere arrivate addirittura a 250 dB, risultando uno dei rumori non naturali più assordanti.

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Più spesso ricordiamo il boom sonico dato da un jet che rompe il muro del suono. Questo fenomeno è dovuto all’aria che colpisce improvvisamente la carlinga dell’aereo, perchè pressata contro la stessa in un tempo eccessivamente breve perchè gli atomi della nostra atmosfera si possano spostare in tempo per fare spazio al velivolo di passaggio.

Caccia abbatte la barriera del suono.
Caccia abbatte la barriera del suono.

La pressione dell’aria che porta il suono, è anche determinata dal calore del gas nella zona interessata. Il fulmine ne è un buon esempio. In generale, lo spazio, rispetto alla nostra atmosfera è un luogo decisamente freddo, ma non nei turbolenti gas interstellari; in questi luoghi la temperatura media si aggira attorno ai 10.000°C. Con questa temperatura il suono all’interno di questi gas ha una velocità di propagazione totalmente differente rispetto alla Terra: esso viaggia a ben 10 km al secondo, ovvero 30 volte la velocità del suono sulla Terra.

Ora vediamo cosa succede a livello sonoro, se prendiamo in considerazione l’evento più distruttivo dello spazio: l’esplosione di una supernova. Se andiamo a rileggere il fattore base dell’incremento di pressione possiamo rapportarlo al volare analogo di questo genere di esplosione cosmica. Quindi ricordando il valore dato prima: 0 dB (base di partenza tarata sulla nostra capacità uditiva) la pressione che si crea è di 0,00000002% rispetto alla normale pressione dell’aria; questo parametro è il punto di partenza e lo spazio non è completamente vuoto, ma presenta sacche di bassissima intensità; vediamo ora cosa succede nel Cosmo, cioè cambiando il nostro sistema di riferimento.

La pressione dei gas quando esplode una stella di grande massa è di 1.000.000.000% ovvero 330 dB! Se mai fosse udibile dall’orecchio umano questo suono, sarebbe un suono devastante. Questo incredibile record è raggiungibile grazie alle peculiari condizioni che si vengono a creare nel momento in cui una stella di grande massa esplode. Mediamente la materia espulsa viaggia al 10% della velocità della luce (100.000.000 di km/h); l’onda sonora quindi si sposta alla ragguardevole velocità di 3000 volte superiore alla propagazione delle onde sonore in una nube di gas interstellare.

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Calcoli matematici hanno permesso di determinare anche i decibel prodotti da alcuni eventi importanti nel nostro Universo. Si stima che 10 anni dopo il Big Bang il volume sonoro che pervadeva l’Universo fosse pari a 90 dB e che nel momento in cui la luce emerse dal brodo primordiale 380.000 anni dopo la nascita del Cosmo, il rumore che permeava questo plasma era di 190 dB.

Appurato che lo spazio è più rumoroso di quello che noi possiamo percepire, c’è un’altra cosa che possiamo scoprire dell’Universo sonoro. Sappiamo che differenti variazioni di pressione al secondo producono una “frequenza” dell’onda sonora; mentre l’intensità sonora è una cosa del tutto soggettiva, il “tono” di un’onda sonora poggia le sue basi sulla matematica! Due note che all’ascolto risultano separate da un intervallo di un’ottava, avranno una differenza fra le rispettive frequenze di un fattore due: la nota più alta avrà una frequenza doppia rispetto alla nota più bassa.

Premesso questo, attraverso le conoscenze astronomiche è possibile fissare una scala musicale utilizzando il tono dei suoni che pervadono l’Universo. Cambiando il nostro sistema di riferimento, osserveremo queste onde sonore viaggiare a velocità molto diverse da quelle che analizziamo sulla Terra, e addirittura osserveremo livelli di pressioni del gas inimmaginabili da riprodurre sul nostro pianeta.

Uno degli oggetti celesti di cui si è potuto valutare il suono che produce è l’ammasso di galassie denominato Abell 426, posto nella Costellazione del Perseo a 240 milioni di anni luce da noi. Osservato ai raggi X risulta uno degli oggetti più brillanti del cielo. E’ proprio osservandolo in questa frequenza dello spettro elettromagnetico, che si sono potute osservare le increspature del gas nella zona centrale dell’ammasso. Merito dell’astronomo britannico Andy Fabian, che attraverso l’uso del Telescopio Chandra, nel 2002 ha osservato queste increspature nei gas di Abell 426 e ne ha determinato che esse corrispondevano a una variazione di pressione degli stessi.

NGC 1275 le due immagini mostrano la galassia ripresa in colori reali (sx) e nei raggi X (dx). Nell'immagine di destra è possibile osservare le increspature create dall'attività del buco nero supermassivo. - Credits: NASA
NGC 1275 le due immagini mostrano la galassia ripresa in colori reali (sx) e nei raggi X (dx). Nell’immagine di destra è possibile osservare le increspature create dall’attività del buco nero supermassivo. – Credits: NASA

Il suono prodotto da questo oggetto è per noi inudibile sia per in termini fisici che temporali. Il suono di Abell 426 infatti impiegherà 100 miliardi di anni ad arrivare a noi, molto molto più dell’attuale età del Cosmo e (ammesso che l’uomo sia ancora presente nell’Universo) sarà comunque un suono inascoltabile per il nostro orecchio.

Determinate le increspature del gas e determinata al temperatura dello stesso (30.000.000 °C), gli astronomi hanno potuto estrarre la velocità di propagazione del suono in Abell 426. L’onda si propaga a 4,2 km l’ora e le increspature nel gas hanno quindi una distanza l’una dall’altra di 36.000 anni luce. Usando la matematica, possiamo determinare la nota suonata da Abell 426: basta dividere la velocità dell’onda per lo spazio fra le due increspature, quello che otterremo è un SI bemolle. Però….non è il SI bemolle che conosciamo qui sul nostro pianeta. Infatti le onde sonore di Abell 426 hanno una frequenza estremamente ampia: 1 oscillazione ogni 9 milioni di anni. Questo dato ci porta a comprendere che ci troviamo a suonare un SI bemolle 56 ottave sotto il DO centrale (considerando un pianoforte a 88 tasti). La lentezza di questa nota molto bassa è 6000 trilioni di volte più lenta della nota più bassa udibile dall’orecchio umano!!! Per suonare questa nota su un pianoforte, sarebbero necessari 635 tasti in più sulla sinistra.

La costanza di Abell 426 nel suonare questa unica singola nota è ammirevole; questo SI bemolle 56 ottave sotto il DO centrale viene prodotto dall’ammasso da ben 2 miliardi di anni e non mostra alcun segno di cedimento. Quale energia può celarsi dietro a tutto questo? Per mantenere costantemente questa nota per il tempo sopra descritto, si è calcolato che ogni secondo è necessaria un’ energia pari a un trilione di trilioni di volte l’energia prodotta da tutte le centrali nucleari della Terra. L’unico motore nell’Universo in grado di sprigionare tanta energia è un buco nero supermassivo e per Abell 426, si tratta del buco nero al centro della galassia NGC 1275 che avrebbe la ragguardevole massa di 400 milioni di masse solari (il buco nero al centro della Via Lattea è di circa 4,2 milioni di masse solari). Cosa quindi produce le increspature che producono il SI bemolle? Tutto parte dalla voracità del buco nero di NGC 1275 è di gran lunga superiore a quella del buco nero nella Via Lattea, facendo un paragone: se il nostro buco nero fagocita tanta materia quanta ne compone il nostro Sistema Solare in 100.000 anni, per il buco nero supermassivo di NGC 1275 basta una settimana!

Questa voracità porta all’espulsione di due getti materia contrapposti, ai poli del buco nero e che viaggiano a velocità relativistiche; questi getti però si trovano in una condizione di “disagio”, infatti NGC 1275 è immersa in un ammasso con altre galassie i cui spazi intergalattici sono occupati dal gas caldo a 30.000.000° C. Questo genera delle bolle di pressione entro cui i getti del buco nero tentano di farsi strada attraverso il gas incandescente; sono queste bolle che generano la pressione dei gas intergalattici e che producono il SI bemolle 56 ottave sotto il DO centrale suonato, ormai, da 2 miliardi di anni.

Ma il Cosmo non finisce mai di stupire e quindi altri suoni possono essere scoperti e analizzati. A esempio, che suono avrebbe il Big Bang? Prima di tutto bisognerebbe capire come si muoverebbero le onde nel brodo primordiale. Pur con molte incertezze, gli astronomi sono arrivati a stimare il comportamento della materia durante le primissime fasi di espansione del Cosmo. La disomogeneità che oggi osserviamo con punti di maggior concentrazione di galassie e altri punti molto più rarefatti, ha cominciato a manifestarsi già un trilionesimo di trilionesimo di secondo dopo l’inizio dell’espansione (all’epoca le dimensioni dell’Universo erano quelle di un pallone da spiaggia). Si sono venuti quindi a creare degli alloggiamenti di materia più densi che (grazie alla gravità) hanno attirato altra materia. La pressione in queste sacche è quindi cresciuta non appena la compressione del gas è aumentata, causando così un’ulteriore espansione. Ma l’espansione ha causato una perdita di pressione e la dilatazione è diminuita. Il processo di attrazione gravitazione nelle sacche di alloggiamento della materia è così ripartito. Un millisecondo dopo il Big Bang, queste microscopiche nubi di gas si contraevano e si espandevano sotto l’azione dell’aumentare o diminuire della pressione. Cosa si è creato a livello sonoro in queste sacche di materia primordiale? In realtà la pressione esercitata ha provocato delle variazioni, ma queste variazioni non sono andate da nessuna parte. Queste onde (come si dice in gergo) erano stazionarie. Musicalmente parlando possono definirsi simili a quelle prodotte nella canna di un organo o in un flauto. La lunghezza della canna dell’organo determina la frequenza del suono prodotto (canna corta suono acuto, canna lunga suono grave). In modo analogo potremmo dire che suonava l’Universo nelle sue fasi iniziali. In un Cosmo appena nato, solo gli alloggiamenti di materia più piccoli avevano il tempo di compiere un ciclo completo di espansione e contrazione. Le note prodotte erano quindi più alte: l’Universo primordiale cantava con vece da soprano. Più l’espansione è proseguita più questo coro si è ammutolito, lasciando (è il caso di dire) lo spazio alle note più basse. Quando il Cosmo ebbe l’età di 10 anni, la nota che avremmo sentito risuonare sarebbe stato un FA diesis 35 ottave sotto il DO centrale con un volume di circa 90 decibel. Ma l’Universo si continuava a espandere e nubi di gas sempre maggiori e differenti venivano prodotte. Dopo 100.000 anni dalla nascita, quest’organo cosmico suonava con 13 ottave in più, ancora più basse, con un volume sonoro che aumentava di un fattore 20.

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Quando la luce emerse dal brodo primordiale 380.000 anni dopo il Big Bang, la temperatura del Cosmo era di circa 2700° C. L’emersione della luce nel momento della ricombinazione dell’Universo (protoni ed elettroni si uniscono a formare i primi atomi abbandonando lo stato plasmatico), ha indotto il Cosmo al silenzio! Prima di quest’epoca, il suono viaggiava in questo brodo primordiale a una velocità inimmaginabile: 620 milioni di km/h (60% della velocità della luce); in questo movimento rapido della pressione dei gas, le sacche di materia si potevano contrarre ed espandersi.

Ma come hanno fatto gli astronomi a giungere a questa conclusione sorprendente, dato che questo coro iniziale ormai è ammutolito da miliardi di anni? Semplicemente perchè l’acuto finale di questa esibizione è ancora lì….immortalato per sempre nelle immagini della radiazione cosmica di fondo o radiazione fossile. I satelliti COBE, WMAP e Planck, passando per l’esperimento BOOMERANG, ci hanno mostrato la radiazione fossile, immortalata per sempre nell’istante in cui la luce ha iniziato il suo viaggio nello Spazio. Osservando questa radiazione primordiale, gli astronomi hanno trovato delle anisotropie: alcune regioni del cielo erano lo 0,001% più caldo e altre più fredde rispetto alla media del brodo primordiale. Ecco, proprio queste differenze di temperatura ci mostrano le sacche di gas colte durante una delle fasi di oscillazione di pressione. L’acuto finale prima di passare a un’altra melodia, immortalato per sempre nelle maglie del tempo.

Si possono misurare queste sacche di materia immortalate nella radiazione fossile? Assolutamente sì! L’estensione di queste zone a differente temperatura, è circa il diametro della Luna piena. Da questo dato è quindi possibile ricavare il tono dell’Universo in quell’istante. All’atto della ricombinazione, quella nota finale, è stata determinata con precisione e attendibilità: si tratta di un DO, 54 ottave sotto il DO centrale a un volume di 120 decibel. Tornando al suono prodotto da un organo, per avere una nota corrispondente sarebbe necessaria una canna più lunga di 10 trilioni di chilometri!!!

L’Universo nel frattempo si è espanso di un fattore 1000 rispetto all’epoca della ricombinazione; quelle sacche di materia immortalate nella radiazione fossile, ora si sono espanse di un fattore corrispondente e la loro ampiezza dovrebbe essere di 500 milioni di anni luce. Oggi quelle sacche non assomigliano più a quegli agglomerati primordiali delle immagini di COBE, WMAP e Planck, perchè quelle sacche si sono evolute in ammassi di galassie e gli ammassi più grandi non superano l’ampiezza di 500 milioni di anni luce! Esattamente come previsto dalla teoria. Quei suoni con tono da soprano che hanno addensato la materia all’inizio della storia del Cosmo, sono mutate in ciò che noi osserviamo nella materia visibile (materia barionica) nell’Universo odierno. Con una meravigliosa immagine data dall’astronomo australiano Bryan Gaensler, si potrebbe dire che:

Tutto quello che vediamo intorno a noi e, quindi, di cui anche noi facciamo parte, è una traccia fossile delle onde sonore oscillanti degli albori sella storia dell’Universo, intrecciata per sempre nella distribuzione della materia che permea tutto il Cosmo.

I primi suoni dell’Universo sono cessati molto tempo fa. Il direttore e gli orchestrali hanno abbandonato il palcoscenico cosmico, portando con se i loro strumenti. Tuttavia, i musicisti hanno lasciato lì gli spartiti. Studiando la radiazione fossile e la struttura su grande scala dell’Universo, possiamo ricostruire la prima musica mai suonata, musica che non è mai stata pensata per essere ascoltata.

Come se l’Universo fosse stato forgiato grazie al ritmo di una melodia mai udita.

Tutto questo mi fa venire in mente il titolo di una bellissima canzone del duo Simon & Garfunkel, THE SOUND OF SILENCE; perchè il Cosmo, per noi così silenzioso, non lo è affatto: risuona di inimmaginabili melodie.

In altro modo però oggi possiamo ascoltare i suoni che l’Universo ci regala. Nello spettro elettromagnetico infatti, è presente una radiazione dalle onde estremamente lunghe: le onde radio. Abbiamo con il tempo imparato ad addomesticare queste onde, facendo portare loro a cavalluccio le informazioni di cui avevamo bisogno.

Le onde radio sono usate per le radiocomunicazioni e telecomunicazioni. Sono onde che portano con sè i dati che vogliamo far trasportare loro, partendo da un apparecchio trasmittente e arrivando a un altro ricevente che li decodifica e li commuta in suono per noi udibile.

Attraverso questo meccanismo di “ascolto” delle onde dello spettro elettromagnetico, è inoltre possibile sentire come “risuonano” oggetti più piccoli e più vicini degli ammassi di galassie come Abell 426.

Quando la sonda Voyager della NASA passò accanto a Giove, registrò un suono anomalo. Un suono proveniente dal pianeta. Da cosa è dato questo suono? Altri non è che l’interazione del vento solare fatto di particelle elettricamente cariche, che interagiscono con la magnetosfera del pianeta. Il  plasma di particelle cariche viene accelerato al di là della magnetosfera di Giove a velocità di decine di migliaia di chilometri al secondo. Sono le vibrazioni di queste particelle magnetiche che generano parte del suono di quella registrazione. Qui sotto un video nel quale è possibile ascoltare “il suono di Giove” così come la sonda Voyager lo captò nel suo flyby con il pianeta.

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Analoga prassi si può adottare per convertire in suono gli impulsi elettromagnetici che ci arrivano dalle pulsar; stelle di neutroni che ruotano a velocità incredibili. Questi relitti stellari racchiudono in loro un’altissima velocità di rotazione unita a un campo magnetico estremamente intenso. L’unica via di fuga concessa alle onde elettromagnetiche, è nella regione polare di questi residuati stellari. Quando il cono, da cui le onde elettromagnetiche possono fuggire, è rivolto verso l’osservatore della pulsar, possiamo cogliere le emissioni di questa stella morta; quando il cono della pulsar (per effetto della rotazione sull’asse) è rivolto dalla parte opposta, la stella sembra quiescente. Il problema è che la velocità di rotazione di questi relitti stellari è altissima. Uno degli oggetti che ruotano più velocemente su se stesso mai scoperto prima, è proprio una pulsar denominata PSR J1748-2446ad, in grado di compiere 716 rotazione sul proprio asse in 1 secondo. Ma come risulterebbe il “ticchetio” di una pulsar? Convertendo in suono, quello che questa stella ci rimanda a ogni giro, sentiremmo diversi ritmi. Nel video che propongo qui sotto, ci sono alcune differenti pulsar con differenti tempi di rotazione che producono, quindi, diversi ritmi. Sono come i batteristi dell’Universo.

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Come descritto prima quando parlavo della radiazione fossile, è possibile estrapolare dai dati matematici il suono emesso dall’Universo nel momento della ricombinazione. Convertendo i dati in un suono udibile dall’orecchio umano, il risultato portato magistralmente alla luce dal ricercatore John Cramer dell’Università di Washington, è ascoltabile in questo video:

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Invece, un recentissimo studio apparso su Physical Review Letters, i ricercatori capitanati da Amitava Adak della York Plasma Institute al Department of Physics di York, hanno scoperto in uno studio sulla dinamica dei fluidi, che l’interazione fra un laser ultra denso e un plasma, generano impulsi di pressione che creano onde sonore prossime al trilione di Hz. Questo suono è 6 milioni di volte più alto di quello che può udire il più affinato orecchio di un mammifero, ma desterebbe però l’attenzione di un pipistrello.

Schema dell'interazione laser plasma - Credits: A. Adak et al. 2015
Schema dell’interazione laser plasma – Credits: A. Adak et al. 2015

Questo studio permette di capire la dinamica di ciò che avviene sulla superficie di una stella. Stando a questa scoperta, si potrebbe dire che le stelle in fase di accumulo di materia, “cantano” a una frequenza altissima; frequesnza che però non è udibile direttamente, queste onde sonore non si possono propagare nello spazio (come descritto all’inizio di questo post); il loro canto è quindi silenzioso.

Alex Robinson (co-autore dell’articolo e ricercatore del Plasma Physics Group presso la STFC’s Central Laser Facility) ha sviluppato un modello numerico per generare onde acustiche utilizzate  nell’esperimento.

John Pasley, anche lui membro del team di ricerca e co-autore dello studio, ha detto: “Quando le stelle accumulano nuovo materiale, possono generare un suono in un modo molto simile a quello che abbiamo misurato in laboratorio con il nostro esperimento. Perciò, le stelle potrebbero come dire ‘cantare’ ma poiché sappiamo che il suono non si può propagare nello spazio vuoto, nessuno le può sentire“.

Per terminare questo post dedicato a un Universo per nulla silenzioso, ecco come noi umani possiamo magicamente mettere in musica anche una formula matematica e non una qualsiasi, ma il PI GRECO ( \pi ). Questo simbolo matematico è corrispondente al numero 3,14159 26535 89793 23846 26433 83279 50288 41971 69399 37510 58209 74944 59230 78164 06286 20899 86280 34825 34211 7067… comunemente abbreviato con 3,14. Il calcolo di \pi oggi ha raggiunto la 2.000.000.000.000.000 cifra, che si è scoperto, equivale ad uno 0. Nella fisica, il \pi  ha un ruolo estremamente importante. Nell’ambito astrofisico lo troviamo nelle equazioni del principio di indeterminazione di Heisenberg e nell’equazione di campo di Einstein per la relatività generale.

Ma come siamo riusciti a mettere in melodia il \pi? Ecco un bell’esempio di \pi  eseguito al pianoforte.

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In ultimo, un simpatico concerto fatto con le Bobine di Tesla. Si parte con il tema centrale di 2001, ODISSEA NELLO SPAZIO passando per GHOSTBUSTERS… E’ davvero un video che merita tantissimo. Addomesticare energie così intense per riprodurre una melodia. Davvero meraviglioso.

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Dal Cosmo è tutto….CIELI SERENI

Francesca

Per la stesura di questo post, si è consultato il testo UNIVERSO DA CAPOGIRO di BRYAN GAENSLER ed.: Edizioni Dedalo ISBN 978-88-2206850-7. Il testo è consultabile on-line a questo link.

Altri dati confermati da wikipedia.

Esperimento laser/plasma: fonte journals.aps.org

Le tabelle decibel consultate on-line riportano dati leggermente discordanti le une dalle altre, ma senza eccessive differenze di base.