MESSAGE IN THE BOTTLE

Come un messaggio in bottiglia, gli scienziati, hanno “letto” il passato in un meteorite, per capire l’evoluzione passata e futura del meccanismo che produce il campo magnetico terrestre. – Una nuova immagine per l’ammasso di galassie noto come MACS J0416.1-2403 ripresa da Hubble all’interno del programma Hubble Frontier Fields. – Le nuove scoperte di Rosetta alla cometa 67P.

Il meteorite Esquel - Credits Natural History Museum, Londra
Il meteorite Esquel – Credits Natural History Museum, Londra

Sulla rivista Nature è apparso un articolo dedicato a uno studio portato avanti da Richard Harrison dell’Università di Cambridge nel quale si spiega come, usando il sincrotone BESSY II di Berlino, hanno bombardato con un intenso fascio di raggi X alcuni campioni di meteoriti chiamate pallasiti, ricchi di ferro, nichel e con cristalli di silicati al loro interno. Nei cristalli di silicati sono presenti piccole parti di tetrataenite, delle dimensioni di 100 nanometri (un millesimo della larghezza di un capello). E’ proprio la tetrataenite a possedere un’alta proprietà magnetica e dentro a essa si possono “leggere” magneticamente i messaggi lasciati dall’evoluzione del meteorite che si sta analizzando.

I ricercatori hanno scoperto che i campi magnetici generati da asteroidi sono molto più longevi di quanto precedentemente pensato e che i campi durano fino a diverse centinaia di milioni di anni dopo che l’asteroide si è formato; si è compreso inoltre che sono stati creati da un meccanismo simile a quello che ha generato il campo magnetico terrestre. I risultati aiutano a rispondere a molte delle domande che circondano la longevità e la stabilità delle attività magnetica su piccoli oggetti celesti, come asteroidi e satelliti.

Campione di tetrataenite-Credits: Rob Lavinsky - iRocks.com
Campione di tetrataenite-Credits: Rob Lavinsky – iRocks.com

Osservare i campi magnetici è uno dei pochi modi con cui possiamo sbirciare all’interno di un pianeta” spiega il dottor Richard Harrison del Dipartimento di Scienze della Terra di Cambridge, che ha guidato la ricerca. “E’ stato a lungo ipotizzato che meteoriti ricchi di metallo non potevano possedere questo tipo di memorie magnetiche, dal momento che sono principalmente composti di ferro, un metallo per nulla in grado di trattenere informazioni magnetiche per un lungo periodo. Si pensava quindi che i segnali magnetici trasportati da meteoriti ricchi di metalli sarebbero stati scritti e riscritti più volte durante la loro vita, ragion per cui nessuno ha mai preso la briga di studiare le loro proprietà magnetiche in dettaglio.

Queste meteoriti provengono da asteroidi formatisi nei primi milioni di anni dopo la nascita del Sistema Solare. A quel tempo, i corpi planetari sono stati riscaldati dal decadimento radioattivo a temperature abbastanza calde da farli fondere e separare in un nucleo di metallo liquido circondato da un mantello roccioso. Come i loro nuclei si sono raffreddati e hanno cominciato a congelarsi, i moti vorticosi di metallo liquido hanno guidato l’espulsione dello zolfo dal nucleo interno, generando un campo magnetico, proprio come fa la Terra oggi.

Rappresentazione del campo magnetico.
Rappresentazione del campo magnetico.

James Bryson autore dell’articolo apparso su Nature spiega: “Dal momento che gli asteroidi sono molto più piccoli della Terra, si sono anche raffreddati molto più rapidamente; questi processi quindi avvengono in tempi più brevi, il che ci permette di studiare l’intero processo di solidificazione nucleo.

Gli scienziati ritengono che solo di recente il centro della Terra ha cominciato a raffreddarsi, in termini geologici, forse meno di un miliardo di anni fa. Come questo inizio del raffreddamento sia iniziato non è noto. Nei nostri meteoriti siamo stati in grado di catturare sia l’inizio che la fine del processo di congelamento del nucleo, questo ci aiuterà a capire come i processi abbiano influenzato la Terra nel passato per fornire così un possibile assaggio di quello che potrebbe accadere in futuro al campo magnetico del nostro pianeta” ha spiegato Harrison.

Fortunatamente, il nucleo della nostra Terra è abbastanza grande da raffreddarsi molto lentamente e quindi per ancora molto tempo il campo magnetico del nostro pianeta ci proteggerà dalle radiazioni del Sole deflettendo abilmente, come uno scudo, tutto quello che la nostra stella emette.

(Fonte: cam.ac.uk )

Varie ed eventuali.

1. Una nuova immagine per l’ammasso di galassie noto come MACS J0416.1-2403 ripresa da Hubble all’interno del programma Hubble Frontier Fields.

Ammasso di galassie MACS J0416.1-2403 Credits: NASA/ESA/Hubble
Ammasso di galassie MACS J0416.1-2403 Credits: NASA/ESA/Hubble
Immagine del campo parallelo a MACS J0416.1-2403 - Credits: NASA/ESA/Hubble
Immagine del campo parallelo a MACS J0416.1-2403 – Credits: NASA/ESA/Hubble

(Fonte: frontierfields.org )

2. Rosetta attraverso la telecamera VIRTIS (di fabbricazione italiana) ha analizzato la superficie della 67P e ha determinato che questa cometa è composta da materiali poco riflettenti (che quindi fanno sembrare la superficie della cometa molto scura). L’albedo (capacità di riflettere la luce) della 67P è solo del 6%, mentre la nostra Luna ha un’albedo del 12%. Questo oggetto è quindi annoverabile fra quelli più scuri del nostro Sistema Solare e quindi sulla sua superficie si pensa sia presente materiale come i solfuri ferrosi.

Superficie della cometa 67P - Credits: ESA
Superficie della cometa 67P – Credits: ESA

Ma un’altra scoperta è stata fatta da VIRTIS: nei primissimi strati della superficie della 67P (dagli 1 agli 1,5 mm) hanno dimostrato una scarsa concentrazione di acqua, quindi formalmente si può dire che in superficie è molto arida. Ma questo è spiegabile con i passaggi della cometa verso il Sole che fa sublimare il ghiaccio presente.

Superficie della cometa 67P - Credits: ESA
Superficie della cometa 67P – Credits: ESA

Ultimo, ma non ultimo, la presenza di composti organici macromolecolari sulla cometa.  Alcuni di questi composti sono assimilabili ad acidi carbossilici, o piuttosto a polimeri di acidi carbossilici, presenti negli amminoacidi. Amminoacidi sono stati osservati già in materiali cometari e in meteoriti primitive, ma questa è la prima volta che simili composti sono stati osservati direttamente sulla superficie di un nucleo cometario.

La cometa 67P - Credits: ESA
La cometa 67P – Credits: ESA

Fabrizio Capaccioni, ricercatore dell’INAF-IAPS di Roma, Principal Investigator di VIRTIS e primo autore dell’articolo su Science commenta la scoperta: “La formazione di tali composti richiede la presenza di ghiacci di elementi molto volatili, come ad esempio metanolo, metano o monossido di carbonio, che solidificano solo a basse temperature. La loro regione di formazione  doveva trovarsi quindi a grandi distanze dal Sole nelle prime fasi di formazione del Sistema solare. Ciò fa quindi supporre che ci troviamo effettivamente in presenza di una cometa che contiene al suo interno tracce dei composti primordiali o addirittura precedenti alla formazione del nostro Sistema solare“.

(Fonte: media.inaf.it )

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Francesca