27 GENNAIO 1967 – DISASTRO APOLLO 1

AS 204-A questa sigla divenne tristemente famosa il 27 gennaio 1967.

Era un venerdì….

AS 204-A era il nome in codice di una missione NASA. Letteralmente Apollo-Saturn, vettore di tipo usato Saturno I-B di tipo 2, sigla progressiva del lancio n. 04; A era la missione primaria

Tutto iniziò poco meno di un anno prima, quando il 21 marzo 1966 il capitano veterano Virgil Ivan Grissom, Ed White II e la recluta alla sua prima missione Roger Chaffee, vennero designati per questa missione del Programma Apollo.

Equipaggio dell'Apollo 1 - Da sinistra Grissom, White e Chaffee. Credits: NASA
Equipaggio dell’Apollo 1 – Da sinistra Grissom, White e Chaffee. Credits: NASA

Quel 27 gennaio del 1967 erano già cinque ore che gli astronauti erano chiusi nella cabina di pilotaggio della AS 204-A; sull’orologio della simulazione del lancio, mancavano T -10 minuti al lancio simulato.

Alle 18.31 giunse una frase strana dalla cabina di pilotaggio, agganciata al razzo già verticalizzato e in rampa, Saturno I-B.

White (probabilmente): “Fuoco…fuoco!”

Grissom: “Fuoco…abbiamo un incendio nell’abitacolo!”

Chaffee: “Abbiamo un incendio!”

Fra i crepitii delle fiamme, si colse una voce che chiedeva “Portateci fuori di qui….”

Poi più nulla….

Silenzio alla rampa 34!

Questo è il primo grande incidente per la NASA e per l’America durante la sua corsa allo spazio. Già 19 astronauti avevano lasciato il suolo americano per avventurarsi in orbita attorno al nostro pianeta; malgrado alcuni disguidi, intoppi e danni importanti, mai nulla di rilevante aveva fermato le missioni fino ad allora svolte: GEMINI E MERCURY.

Mai nessun guasto (anche importante), aveva causato la morte di un astronauta durante queste missioni.

Disastro Apollo 1 - La cabina di pilotaggio così come apparve ai soccorritori subito dopo il loro intervento - Credits: NASA
Disastro Apollo 1 – La cabina di pilotaggio così come apparve ai soccorritori subito dopo il loro intervento – Credits: NASA

Fu il Rapporto Thompson a chiarire le idee sull’accaduto in rampa il 27 gennaio 1967.

Tre mesi di lavoro ininterrotto, ventuno gruppi di indagini per un totale di 1500 persone appartenenti a enti governativi, industrie di settore e università.

Non solo vennero analizzate le parti macroscopiche del relitto, ma anche i più piccoli dettagli, fino ai bulloni più insignificanti. Valutati fatti aventi attinenza diretta o indiretta con l’incendio. La commissione del Rapporto Thompson ascoltò 612 testimoni. Alla fine ne risultarono 14 volumi da 20 centimetri d’altezza l’uno. Più sei appendici.

Oltre di 3.300 pagine, che però non riportarono cosa realmente innescò l’incendio.

Vennero invece messe in evidenza una serie di cause che hanno pesantemente contribuito e al propagarsi dell’incendio e alla mancata messa in sicurezza in tempi brevi dei tre astronauti.

Nel Rapporto Thompson si legge che a contribuire al disastro ci furono:

  1. una cabina sigillata e pressurizzata contenente ossigeno puro (questo fu fatto per simulare le reali condizioni di volo);
  2. un esteso utilizzo di materiale combustibile all’interno della capsula;
  3. cavi elettrici di scarsa qualità, facilmente vulnerabili e non a prova di fumo;
  4. procedure inadatte per la fuga dell’equipaggio;
  5. procedure inadatte per il salvataggio e l’assistenza medica.

Le telecamere che puntavano dritto l’entrata alla capsula, permisero agli addetti della clean room di vedere cosa successe (seppur da fuori). Al momento dello scoppio, un guanto argenteo comparve a battere sul vetro del portello d’entrata (si pensa fosse White); la stessa mano, tentò di trovare dei bulloni della paratia interna da far saltare. Poi un altro guanto argenteo levato verso l’alto (questa volta si pensa di Grissom); poi solo fumo dentro l’abitacolo.

Dal momento del primo allarme, passarono 5 minuti e mezzo quando gli addetti della clean room (i più vicini alla capsula), aprirono l’abitacolo e videro ciò che era successo.

I medici giunsero sul posto ben 14 minuti dopo.

Dal Rapporto Thompson, si pensa che gli astronauti morirono per l’esalazione dei tubi di plastica della tuta spaziale che si erano fusi, riempiendo i polmoni di gas velenosi. In soli 9 secondi.

I responsabili del Programma Apollo di allora in quota NASA e NAA (North American Aviation che costruì materialmente la capsula) vennero rimossi o dettero le dimissioni.

Su richiesta delle vedove, la missione venne ribattezzata APOLLO 1 (come in precedenza chiesto dagli astronauti stessi, senza essere accontentati).

La peccina di Apollo 1 - Credits: NASA
La peccina di Apollo 1 – Credits: NASA

Apollo 1 non lasciò mai la Terra. Gli astronauti morirono in rampa durante un’esercitazione.

A memoria di questo evento, si decise di assegnare i nomi dei tre astronauti a tre stelle già da tempo in uso nella navigazione spaziale come riferimenti.

I nomi assegnati erano quelli degli astronauti letti al contrario.

Iota Ursae Majoris edicata a Ed White II; il II (Second) fu utilizzato per la nomenclatura diventando Dnoces.

Gamma Velorum venne battezzata anche con il nome di Roger Chaffee, ovvero Regor.

Gamma Cassiopeiae venne battezzata anche con il nome di Virgil Ivan Grissom Navi.

Due anni e mezzo dopo, l’uomo metteva piede sulla Luna. E se questo fu possibile, lo fu anche per le adeguate misure di sicurezza che NASA adotto dopo l’incidente del 27 gennaio 1967.

Per questo post si è consultato il libro APOLLO – SFIDA ALLA LUNA di Stefano Cavina. A questo link trovate una mia recensione del libro.